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parte prima - capitolo xvi 109


Una di queste mie sorelle, nominata Girolama, che leggeva molti libri, scriveva molti fogli, componeva molti sonetti, traduceva delle opere francesi in versi italiani, perch’era attaccata dalla epidemia famigliare, mi favellò con una gravitá ed una eloquenza da sibilla.

La moglie di mio fratello non lasciava di proccurarsi de’ colloqui secreti con me. Ella mi diceva che suo marito era pigro, indolente, quasi sempre perduto sugli studi infruttuosi, spesso in una certa conversazione geniale, e lontanissimo dal voler pensieri e pesi domestici; ch’ella aveva fatto il possibile (Dio lo sapeva) e che averebbe seguitato a fare il possibile (Dio l’avrebbe veduto). Mi narrava le imprese che aveva fatte, quelle che intendeva di fare, che, per dire il vero, non erano che poetiche bestialitá. Mi giurava ch’ella non era padrona di nulla; non posseditrice, non amministratrice di tutte le rendite, ma ch’era semplice consigliera, inframmettitrice, riparatrice, provveditrice a’ bisogni per buon cuore. Mi stimolava a far de’ seri discorsi a suo marito, che lo inducessero ad abbandonare le sue inutili applicazioni e specialmente le sue visite geniali di pregiudizio sommo, e lo costringessero a soccorrere le di lei immense fatiche ed a pensare a’ suoi figliuoli ch’erano cinque.

Nel misto delle veritá, delle menzogne e delle fantasie che uscivano dal cervello ognora infiammato di quella povera donna, in vero affaticatissima e sempre imbrogliata, rilevava ch’ella era mossa sostanzialmente dal timore d’essere incolpata de’ disordini avvenuti, dallo spirito dell’ambizione che aveva di prima ministra d’uno stato immaginario, e dal diavolino di qualche donnesca gelosia del marito, il quale, scordando un lungo canzoniere petrarchesco che aveva composto per lei ne’ tempi andati, da lei retribuito con cinque figliuoli, la trascurava, e non facendole piú nemmeno un sonettino, rivolgeva i suoi carmi ad un altro idoletto.

L’omaggio di tutti quelli della famiglia, che presentavano a lei i lor memoriali supplichevoli per ottenere un ducato o un paio di scarpe o consimili grazie col suo mezzo (non si sapeva da qual padrone), era per lei un fasto ed una vittoria che