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parte prima - capitolo xv 105


Giunse due giorni dopo mio fratello Gasparo, e fatti alcuni convenevoli col forestiere, il cui merito, la cui amicizia, il cui credito furono da me dichiarati con sincera favella, piantammo la societá in terzo. Mio fratello, ch’era d’un genio lepido anche con la febbre, accrebbe lo spirito alla conversazione.

Avevamo tutti due una gran brama di favellarci fraternamente e secretamente. Giunse il momento di poterlo fare. Gli chiesi conto del povero mio padre, della madre, degli altri e delle circostanze della famiglia. Ciò che aveva veduto nella casa di Venezia era precursore di triste augurio a ciò che doveva udire.

Il fratello, filosofo ma non senza un’umana sensibilitá che appariva di quando in quando sugli occhi suoi, m’ha dati succintamente questi ragguagli: che la famiglia era in un’angustia tragica; che il padre viveva, ma ognora mutolo e paralitico come era prima della mia partenza; che si erano maritate le due maggiori sorelle Marina ed Emilia, l’una nel conte Michele di Prata, l’altra nel conte Giovan Daniele di Montereale; che si erano promessi per le dotazioni verso diecimila ducati; che si erano venduti le tali e tali campagne e i tali e tali beni, e incontrati de’ debiti per piú di duemila ducati con de’ mercanti; che ardeva un litigio nel fòro tra il conte Montereale cognato e la famiglia per certa somma della dote non ancora pagata; che le altre tre sorelle Laura, Girolama e Chiara, erano molto cresciute, e che davano de’ gran pensieri.

Mi increbbe il scorgere l’impossibilitá di poter pagare istantaneamente il mio debito, ma tutte quelle spaventevoli narrazioni non mi fecero pentire d’aver abbandonato l’uffizio di cadetto nobile di cavalleria.

Pochi giorni trascorsi, il signor Massimo partí per Padova colla promessa del pagamento del mio debito de’ dugento ducati, sopra il quale non espresse che de’ sentimenti da vero amico.

La stagione era ancora da villeggiare e desiderai di portarmi nel Friuli a baciar la mano all’infelice mio padre. Ci andai col fratello, armato l’animo d’una gigantesca fortezza, fortezza che ebbi poscia un estremo bisogno di adoperare.