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lxxii | prefazione. |
cagione, nè per tale cagione avrebbe fatto al Gozzi quel po’ po’ di paura colla sua improvvisa chiamata. Non mi sembra quindi arrischiata la congettura che il Donà volesse piuttosto interrogare il Gozzi sulla rappresentazione teatrale, che stava apparecchiando, e forse lo rendesse responsabile dei disordini, che potessero mai avvenire. Il Gozzi l’avrà persuaso che l’Amore delle tre Melarance non superava in violenza di polemica tutte le sue satire anteriori. Tant’è vero che le Melarance furono rappresentate. E dunque da conchiudere colle parole del D’Ancona, il quale, accennando appunto a questo aneddoto, scrive: «Su tutto vegliava la suprema autorità, non scontenta che alla messetta, alla donnetta e alla bassetta tradizionali. Si aggiungessero.... la commedietta e le fiabe e le guerricciuole letterarie; ma attenta che le cose non andassero troppo oltre, e curiosa di conoscerne ogni incidente.1»
Mettendosi a scrivere le Fiabe, il Gozzi si propose altresì di soccorrere la Compagnia Comica del Sacchi, colla quale durò «per quasi venticinque anni2» (circa dal 1756, che la Compagnia tornò da Lisbona, al 1781) nella più stretta intimità. Egli la descrive a lungo e con molta arguzia nelle Memorie. In un suo Ditirambo uscito poco prima