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lx | prefazione. |
Qui si tacque, torcendosi in atto di piangere quella veridica bocca dell’Epa. Allora gli Accademici mossi da misericordia spalancarono l’uscio e quel mostro, o Teatro Comico, rotoloni come un barile a rompicollo se ne andò giù per le scale dell’osteria... Gli ottimi Granelleschi borbottando e lagnandosi presero i tabarri e le maschere e giurato nuovamente il nodo dell’alleanza.... se ne andarono chi qua chi là a spargere parolette in difesa del buon gusto e delle purgate scritture e a scagliare dardi alla corruzione del secolo e a viso aperto cercando il martirio.»
L’eccesso di questa satira (che per l’invenzione però fa già presentire il poeta delle Fiabe ed ha con la prima di esse non poca affinità) la ignobile allusione alla onorata povertà del Goldoni fanno, per vero dire, poco onore all’indole del Gozzi. Ma nel dialogo accusa altresì il Goldoni di deprimere deliberatamente i nobili e di subornare la plebe «con un pubblico mal’esempio contrario all’ordine indispensabile della subordinazione,1» ed in Venezia, retta da un’oligarchia sovrana di Patrizi, quest’era una denunzia bell’e buona. Narra il Gozzi che codeste brutte sfuriate furono di ragione pubblica prima ancora d’essere date alle stampe e che anzi il Goldoni, spaventato, ottenne da lui, per intramessa di due Patrizi, il Farsetti, amico del Gozzi, ed il Widiman, amico del Gol-
- ↑ Memorie cit. Parte 1. Cap. 34 pag. 281.