Rosaura, il Leandro, la Clarice, la Corallina, in alcune circostanze di certe famiglie conosciute dei nostri giorni. Vestiva queste persone di caratteri palesi caricandoli oltre la naturalezza e con una prosaccia fetente faceva dialoghi sconnessi non lasciando mai le lascivie e l’adulazione verso il popolo. A tal cambiamento le genti s’aggruppavano di nuovo, l’applauso e il picchio si rinnovellava. Non andava però molto che la freddezza, i sbadigli e l’abbandono era a campo (sic). Il mostro apriva ben presto la terza bocca, fingeva personaggi eroici, di paesi lontani, di costumi e di leggi non conosciute dal popolo e qui con le novità faceva nascere curiosità fra la gente, la quale si ravviluppava di nuovo. Dialogava con versacci lunghi, rimati, d’uno stile assai goffo. Sponeva ripudi, violenze, duelli, pianti, e predichette.... Gli applausi erano pronti, com’anche a poco a poco era pronto il tedio e l’abbandono. Il mostro prestamente spillava la dottrina dalla quarta bocca, fingendo la Catterina e la Maddalena, pettegole, sfacciate, in contrasto per gli amori o per la gatta. Titta e Nane, gondolieri maldicenti o in baruffa alla taverna o al tragitto. Il Conte forestiere innamorato della lavandaia Veneziana. La Dama strapazzata dalla baldracca e rinvilendo gli esteri, adulando gli ascoltatori, innestando equivoci lordi, ragionando or in versi corti, or in versi lunghi, or in ottave, or in terzine, spiccando qualche canzoncina, immaginando d’essere or in barca, or a