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prefazione. liii

Smascherava la finzione che la Tartana fosse scritta da un morto1 e ch’egli non ne fosse che l’editore:

Qual colpa è mai di quel barbier di Mida
   Che vide al Re gli orecchi del giumento?
   .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
Qual colpa ho io che in un oscura tana
   Scrissi soletto, e, morto, nella tomba
   Avea gli scritti e quella mia Tartana,
Se uscita come sasso dalla fromba
   Da torchi Parigin, la Fegeiana
   Orecchia ha pubblicata a suon di tromba?2

Non avea più alcuna misura nella volgarità birichinesca dello scherno:

O putti da buon tempo, o compagnoni,
   S’io credea, che n’avessimo un tal spasso,
   Dicendo all’Assessor:3 Vate da chiasso
   E gran Riformator de’ miei c...
Gliel’avrei detto prima ott’anni buoni.
   Amici, eccol di qua bassotto e grasso,
   Corriamgli incontro, attraversiamgli il passo,
   Diamgli dei pizzicotti in sui pippioni.


  1. Nella lettera di dedica a Daniele Farsetti, il Gozzi finge che un amico suo e gran nemico del Goldoni e del Chiari, vedendo i trionfi di questi due, «tutto venne meno di malinconia e rinserratosi in una sua cameretta, scrisse disperato codesta Tartana, che possiamo dire fosse il suo testamento, perocchè, terminata che l’ebbe, e anche non molto ripurgata, sì peggiorò per la mattana, che le dava questa sua noia, che co’ nomi di Luigi Pulci, di Franco Sacchetti e del Burchiello, suoi carissimi, in sulle labbra, morio.»
  2. Ined. nel Codice Cit. della Raccolta Cicogna.
  3. Il Goldoni, già impiegato nella cancelleria criminale.