oltre a questi versi, dico, v’è nel Codice Cicogna un altro sonetto di Carlo, che credo inedito, ed è di questo tenore:
Fegeio1 alza la cresta e sfida l’orbe
Dopo la lega sua col Gazzettiere,
Più non si può rimetterlo a dovere,
Ei ci minaccia e tien le luci torbe.
Sapete, amici, come se gli torbe2
Quest’arroganza, ch’or ci fa vedere?
Ditegli questi detti per godere,
Che gli fien più discari delle sorbe:
Fegeio, l’opre tue fin or son state
Fetenti e lorde, pazze e di castrone;
Puolle veder chi non l’ha ben guardate.
Se pel futuro ne farai di buone,
Diremo: il Gazzettier l’ha tacconate
O gliel’ha fatte ed avremo ragione.
Chi cerca la cagione
D’un stran caso, la trova; ecco trovato
Lo’mperchè sozio a Erode oggi è Pilato.3
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Carlo invece non diede mai tregua nè al Chiari, nè al Goldoni, e d’invettive e di satire contro questi due, e principalmente contro il Goldoni, riempì intieri volumi, oltre alle moltissime, che sono inedite. Sarebbe soverchio e stucchevole riesaminare tutta questa farraggine. Non ne dirò
- ↑ Il nome Arcadico del Goldoni.
- ↑ Per: intorbida.
- ↑ Codice cit. Il sonetto di Carlo è sul verso del foglio bianco di una copia di una lettera di Gaspare. C’è di più questa nota: «Sonetto che dal Sig. Abate Delnea potrà essere sparso.»