maggior furia della sua creazione letteraria sono appunto nel quinquennio comico dal 1748 al 53. Il martedì grasso, io febbraio 1750, promette le sedici commedie per l’anno venturo e l’ultima sera del Carnovale seguente, dopo la recita dei Pettegolezzi delle Donne, è portato in trionfo a braccia di popolo al Ridotto.1 Con tutto ciò gli si contrapponeva come emulo l’Abate Pietro Chiari, del quale (checchè si sia sforzato di dimostrare in contrario il Tommasèo) ha detto esattamente Carlo Gozzi, allorchè lo definiva «un cervello acceso, disordinato, audace e pedantesco; una oscurità d’intreccio da astrologo; de’ salti da stivali da sette leghe; delle scene isolate, e disgiunte dall’azione, suddite d’una loquacità predicantesi filosofica e sentenziosa; qualche buona sorpresa teatrale, qualche descrizione bestialmente felice;.... uno scrittore il più gonfio e ampolloso che adornasse il nostro secolo.2» Con più placida ironia il Goldoni si contentava di dire delle commedie del Chiari: «romanzi e poi romanzi!3» Ma il Chiari, vano e maligno, non si ristava dall’assalire in mille modi il Goldoni e, prima ancora che osasse scimiottare i temi ed i titoli stessi
- ↑ Vedi lo stupendo studio di Cronologia Goldoniana di Ermanno von Löhner nel Tom. XXIV dell’Archivio Veneto.
- ↑ Memorie cit. Part. I, Cap. 34, pag. 269.
- ↑ Lettere di Carlo Goldoni al Conte G. A. Arconati-Visconti, pubblicate dai signori Adolfo ed Alessandro Spinelli. (Milano, Civelli, 1881).