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xxxvi prefazione.

ritissimo Sig. Conte Gasparo Gozzi, non meno che altre eziandio, così di antichi, come di recenti valorosi Poeti Italiani, Francesi ed Inglesi....? E qual compatimento non ebbe anche alcuna delle mie rappresentazioni il Belisario, l’Enrico, la Rosmunda, il Don Giovanni Tenorio, il Giustino, il Rinaldo da Montalbano....? Ma codesti applausi stessi, che riscuotevano i drammi e le Tragedie rappresentate da’ Comici, erano appunto la maggior vergogna della commedia, come la più convincente prova dell’estrema sua decadenza.1» Queste le condizioni vere del teatro in Italia, allorchè il Goldoni ideò e iniziò la sua riforma. La tentò per gradi e quasi assaggiando le proprie forze e gli umori del pubblico. «Quando si studia, scrive esso, sul libro della Natura e del Mondo non si può.... divenire maestro tutto ad un colpo; ma egli è ben certo che non vi si diviene giammai, se non si studiano codesti libri.» Compose dunque da prima commedie d’intrigo, poi di una sola parte scritta, cioè il carattere principale della commedia, lasciando il resto all’improvvisazione dei comici, e finalmente di varii caratteri e tutte scritte. Già la grande arte della commedia improvvisa, che il Goldoni stesso, (al pari di Carlo Gozzi, fattosene poi sostenitore) riconosceva essere quella che «italiana unicamente può dirsi, poichè da altre nazioni non fu trat-

  1. Goldoni, Commedie. Tom. I, Prefazione. (Venezia, Pasquali, 1761).