Zel. Eh, mia Signora,
È l’età vostra fresca, che alterigia
Vi desta in cor. Verrà l’età infelice,
Che i concorrenti mancheranno, e allora
Vi pentirete invan. Che mai perdete?
Qual fanatica gloria, e qual’onore?
Adel. (che a poco a poco si sarà fatta innanzi
ascoltando, interrompendola con gravità)
Chi bassamente è nata non ha idee
Da quelle di Zelima differenti.
Scusa, Zelima. D’una Principessa,
Che in un Divan con pubblico rossore,
Dopo un corso di gloria, e di trofei,
Da un ignoto sia vinta, mal conosci
La necessaria doglia, e la vergogna.
Io con questi occhi vidi l’esultanza
Di cento maschi, e un beffeggiar maligno
Sugli enigmi proposti, quasi fossero
Sciocchi enigmi volgari, e n’ebbi sdegno,
Perch’io l’amo da ver. Che mi dirai
Della sua circostanza? Ella è ridotta
Contro l’istinto suo, contro sua voglia,
Sforzatamente a divenir consorte.
Tur. (impetuosa) Non m’accender di più.
Zel. Ma qual sventura
È divenir consorte?
Adel. Eh taci, taci.
Obbligo non hai tu d’intender, come
Un magnanimo cor de’ risentirsi.
Non sono adulatrice. E ti par poco,