è peggiore a Venezia che altrove. La leggerezza spensierata di costumi e di sentimenti, l’appassionarsi di picciolezze, in mancanza o nello spegnersi via via di alti ideali da conseguire, è comune a tutto il resto della società italiana, la quale perciò è dipinta nelle commedie del Goldoni più profondamente e più largamente di quello che vogliasi per solito ammettere. Se non che a Venezia, la quale della sua splendida vita passata conservava ancora le forme e le sontuose apparenze, a Venezia, dove anzi si potrebbe dire che era ristretta in questo tempo tutta la vita italiana, imbastardita, falsata, schiacciata in tutto il resto d’Italia dalle influenze o dalla padronanza degli stranieri, a Venezia, dico, i segni della decadenza risaltano più vivi, più dolorosi, ed in più immediata relazione di cagioni e di effetti colla catastrofe, che ingoiò la vecchia repubblica; catastrofe, che (salvo a Roma ed in Piemonte, decadenti anche per cagioni loro proprie) era già avvenuta negli altri stati italiani. Tuttociò basta e n’avanza per dar ragione della vergognosa rovina di Venezia; nè occorre calunniarne le instituzioni e il governo, come fece il Daru, o, come Filarete Chasles, compendiarne i costumi e la moralità in un sonetto ed in una canzonetta di Giorgio Baffo.1
- ↑ Études sur l’Espagne et sur les influences de la Littérature Espagnole en France et en Italie par M. Philaréte Chasles (Paris, Amyot, 1847) — D’un Théatre Espagnol-Venitien au XVIII Siècle et de Charles Gozzi, pag. 483, 528.