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xxiv | prefazione. |
provincie, è la vita stessa che il Gozzi condusse alla corte del Reggente Querini, è la nullaggine superba e sfaccendata di quel Patrizio, che tenea in Dalmazia le parti di Sovrano, e di quel codazzo di nobili e di servidorame, che lo attorniava, dei quali in tre anni il Gozzi non ricorda, si può dire, un sol giorno, che abbiano impiegato a qualche utile studio di quella permanente barbarie, che li circondava, od a tentare di spargervi qualche piccolo seme di civiltà. Quell’accademia di poesia, nella quale, come s’è visto, il Gozzi conquistò con un sonetto una limonata, cavalcate su destrieri focosi, nelle quali rischiò di fiaccarsi il collo, qualche amoretto, un teatro di commedia, in cui il Gozzi recitava all’improvviso (e ciò è almeno altro prodromo notevole del poeta drammatico) le parti di Servetta, serenate per far dispetto a mariti gelosi, burle, travestimenti, chiassi notturni per disturbare i sonni degli abitanti, un fascicoletto di poesie laudatorie legato in velluto cremisi e offerto prima del ritorno a S. E. Querini, ecco tutta la vita del Gozzi in Dalmazia. E come la sua, così quella di tutti gli altri suoi compagni, compresa la Eccellenza del Provveditore Generale.
Si paragonino ora questi ricordi colle parole, che circa tre anni dopo il ritorno del Gozzi dalla Dalmazia pronunciava Marco Foscarini nel Consiglio Maggiore e si vedrà che il Gozzi fu storico veritiero in questa parte delle sue Memorie. «Preghemo Dio, esclamava il Foscarini, che le na-