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prefazione. xxiii


tenati non piantarono agli e cipolle e che non alterano la direzione degli avi loro.

Chiesi ragione a delle persone più colte di que’ Paesi della generale indolenza poltrona rurale della Dalmazia. Mi si rispose essere impossibile senza pericolo della vita obbligare i Morlacchi a far più di quello che fanno, o a introdurre la più piccola novità per riformare i loro campestri lavori. Dissi che i padroni delle terre potevano chiamare degli agricoltori italiani e far divenire una Puglia quelle campagne. Vidi ridere sgangheratamente i confabulatori sul mio progetto e chiedendo il perchè di quelle risa, mi risposero che molti signori Dalmatini s’erano provati a far venire de’ villani industri dall’Italia e che pochi giorni dopo il loro arrivo furono trovati uccisi per la campagna, senza poter rinvenire i colpevoli della lor morte. Mi persuasi tosto d’essere un cattivo progettante e mi meravigliai che quei signori ridessero e non piangessero a darmi quelle notizie....

Non ebbi giammai la temerità di voler penetrare e specialmente di discorrere sulle viste e sulle ragioni politiche, ed è forse bene che quelle Provincie rimangano nella loro sterilità.1»

Ciò che osservava e lamentava il futuro poeta delle Fiabe, non osservava o non curava, pare, il governo della Serenissima, e singolare è nel Gozzi, Veneziano d’antica stampa, la fina ironia, con la quale chiude le sue osservazioni. Ad ogni modo, le sue osservazioni tagliano nel vivo e quello poi, che è anche più caratteristico, se possibile, e rappresenta al vivo la profonda decadenza, che si propagava dal cervello alle membra, dalla capitale alle

  1. Memorie cit. Parte I, Cap. 9, pag. 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74.