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atto primo. 163

     Più sposa di me degna. Angela mia,
     Illibata fanciulla, io v’amo tanto,
     Sì di voi sono pago, e persuaso,
     Che non soffro tener più a me dappresso
     Sì forte tentazion di sospettare
     Dell’amor vostro, e della vostra fede
     In avvenire, ed alla virtù vostra,
     Al vostro amor sacrifico per sempre
     La credenza, ed il core; (sguaina la scimitarra) e chiaro segno
     Sia lo spezzar quest’infernale ordigno,
     Per non cercar in voi macchia, o viltade. (spezza lo stucco)
     Impari ognun da me, come si tronchi
     Sospetto e gelosia, cagion d’offesa
     Alle mogli fedeli, e cagion forse
     Del mal, che non sarebbe, o torto alfine.
     Giubili la città, (a Tart.) Fido ministro,
     Or sarete contento. Via, scuotetevi
     Dalla malinconia per vostra figlia.
     Andiamo a divertirci. Oggi ordinate
     Una festevol caccia. Angela, al Tempio.
Ang. Io vi seguo, mio Re, grata e confusa. (entrano)

Pant. Da galantomo che el me par un sogno. Vado a dar parte con quattro righe a mio fradello Boldo a Venezia delle mie esaltazion. Si ben che sta novità anderà su madama la gazzetta1, nonostante vogìo scriver una ma-
  1. Alludesi alla gazzetta, che scriveva in quel tempo il Sig. Abb. Chiari, appellandola madama la gazzetta.