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xx prefazione.


comica due giorni dopo. Il Provveditore Generale si divertiva spesso sull’ore fresche a correre a cavallo quando quattro, quando sei miglia fuori della Città, e una truppa d’Uffiziali gli facevano codazzo cavalcando dietro alle orme sue. Tra questi correva anch’io.

Cavalcando per tal modo un giorno venne brama all’E. S. di sentire nuovamente il mio Sonetto in sua lode, ch’era divenuto famoso, come spesso si vedono divenir circolari in copia e famose delle inezie per le sole circostanze che le avvalorano.

Il Cavaliere mi chiamò altamente; spronai il cavallo per appressarmegli ed egli senza punto rallentare il galoppo, mi comandò di recitargli quel sonetto. Non credo che sia mai stato recitato un sonetto in una maniera simile a quella ch’io dovei prendere, dalla creazione del mondo a quel punto.

Galoppando dietro a quel Signore, sparando quasi il polmone per farmi udire, con tutti i trilli, le aspirazioni, le cadenze, i semituoni, le mozzicature, e le dissonanze che può cagionare lo scuotimento niente accademico d’un cavallo in corso, recitai quel sonetto, che parve di singulti, e ringraziai il Cielo cacciato ch’ebbi fuori il quattordicesimo verso.1»

E dei costumi e delle condizioni, ch’egli osservò, delle provincie Illiriche in quel tempo, scrive così:

«Ho vedute tutte le Fortezze, incolte terre e molti villaggi di quelle Provincie. In parecchie città trovai delle persone educate, di buona fede, cordiali e liberali. Nelle più lontane dalla Corte del Provveditor Generale, de’ costumi rozzi e barbari. I villici sono tutti fiere crudeli, superstiziose, insensibili alla ragione. Conservano ne’ loro matrimoni, ne’ loro mortuori, ne’ loro giuochi gli usi degli antichi Gentili perfettamente. Chi legge Omero, e Virgilio trova l’immagine dei Morlacchi.
  1. Memorie cit. Parte I, Cap. 7, pag. 58, 59, 60, 61, 62.