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atto primo. 157

     L’obbligar le infelici, meschinelle,
     Povere figlie a forza a esporsi in questa
     Stanza secreta, ed alla concorrenza,
     D’esser spose d’un Re, nate in umile
     Stato, e sì disugual, perchè la mente
     Debile si lusinghi, e ricusata
     Poi sen vada piangendo, di vergogna
     Carca, e dolor di non piacervi, (con sospiro) e forse
     Ricusata a ragion per poco merto?
     Qual giustizia sarà, se, mio malgrado,
     Son qui condotta, e se del genitore
     Povero mio fur le preghiere vane
     Per fuggir tal rossor; s’ei per pietadc
     Vi chiese a dispensarlo dall’espormi
     Alla vostra grandezza, al vostro acume,
     O... (sia permesso) ad un capriccio vostro.
     Per cui tante donzelle sfortunate
     Furono offese ornai? Mio Re, Deramo,
     Ricordivi del Ciel, ch’è giusto, e attende
     Tempo a punir pe’ danni altrui. Ragiono,
     Non per me, che al rifiuto sono esposta,
     E soffrirò il rifiuto, ma per tante
     Misere donne, che son fuori, e attendono
     Meste l’ingiuria loro. Dispensatele.
     L’ultima Angela sia, che soffra a forza
     D’un rifiuto il dolor. Mio Re, perdono;
     Libertà mi donaste, e libertade
     Usai nel favellar.
Der. (a parte)          Qual arte è questa