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144 | il re cervo. |
nati civilmente a Venezia, che semo onesti; ma che semo povera zente, e innalzai senza merito dalla so generosità; che no semo degni de concorrer a tanto onor. Gnente. Sastu cossa, che el m’ha resposto?
Non sarebbe giustizia, poich’è aperto |
Prega, reprega, fiabe; l’andava in collera; el t’ha fatto imbossolar anca ti, e ti xe vegnua fuora per terza. Cossa vustu mo, che te fazza? Bisogna andar. Credistu, che li goda mi i pettegolezzi e le dicerie dei bei spiriti? Me schioppa el cuor, Anzola, me schioppa el cuor.
Ang. Il conoscermi indegna di tanta altezza mi fa del ribrezzo ad espormi. S’egli però co’ suoi esami cerca sincerità, fedeltà; se cerca amore...
Pant. Piase! Ti xe innamorada, frascona?
Ang. Sì, lo confesso a voi, che mi siete padre amoroso. Caro padre, sono stata così audace d’innamorarmi perdutamente del mio Re. Sarò rifiutala, mio padre, e morirò; e non già per il rifiuto d’un Monarca; che una povera figlia non deve sentire questa ambizione; ma il vedermi disprezzata, rifiutata da chi è il cor mio, la mia vita, sarà la cagion della mia morte.
Pant. Oh poveretto mi, cossa sentio!
Ang. Ah che più di tutto nella mia circostanza