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atto quarto. | 119 |
Rimorso e angoscia della mia innocenza,
Giacchè il volesti. A’ detti ultimi sono.
Mil. Ah no, non dirli, fratel mio.
Ien. (con isdegno e risoluto)Son questi.
(segue con voce debile)
Armilla, ch’ha in potere, se sposa suo fratello,
La notte un mostro orrendo trangugierassi quello.
Se non gli reca Armilla, o gli palesa il fatto,
O con nessun fa cenno con parola, o con atto;
Il decreto è infallibile; se in nulla mancherà,
Una statua di marmo Jennaro diverrà.
Combattei col dragone questa notte.
Che la porta spezzai. Fu quello il colpo.
Che ti serbò la vita, e ch’è cagione
Per serbarti la mia, ch’ora... la perdo.
Salvati da Norando... io più non posso. (segue tremuoto, e Jennaro cambia il capo e la faccia in marmo)
Mil. (con disperazione) Fulmina, Ciel, percuotimi. Innocente
Fratel, chi mi t’ha tolto? Oh Dio! Soldati,
Servi, Ministri, era innocente il mio
Caro fratello. Io fui, che l’ho tradito;
Io son di morte reo. Deh mi recate
Nella Reggia l’amaro simulacro.
A’ suoi piedi morrò distrutto in lagrime.