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xvi prefazione.


glierlo. Osservai tutti gli astanti sbigottiti e con gli occhi spalancati guardarsi l’un l’altro. Quelle austere novità occuparono per poco il mio cervello. Parvemi ragazzescamente filosofando di comprendere che un Nobile d’una Repubblica eletto Provveditor Generale d’una armata e Capo di due estese Provincie, nel presentarsi tale dovesse mostrarsi in un aspetto affatto diverso da quello d’un Patrizio togato, per far tremare, e per istillare della soggezione a tutti i subordinati avvezzi, e fatti arditi da un privato cortese accoglimento, e spesso presuntuosi, e milantatori di possedere e di disporre della Grazia Generalizia.

Siccome era io fortissimo nella massima di non commettere delitti, di fare il dover mio senza niente pretendere dalla fortuna, fui meno atterrito degli altri al terribile contegno e agli aspri comandi di quel Signore. Diceva tra me: Egli mi fa alquanto di paura, ma egli si degna di darsi il peso, il pensiero e lo studio di trasformare se medesimo nel contegno per farmela, ed apprezzando la sua fatica trovava minore la mia paura del suo disturbo.

Ritiratosi egli nella sua stanza nel profondo di quel navilio infernale, spedì il Tenente Colonnello Micheli suo Maggiore della Provincia a tutti gli Uffiziali e Venturieri imbarcati a chiedere loro chi fossero e da chi raccomandati.

Dopo tante visite fattegli nel di lui palagio, tanti accoglimenti, tanti colloqui avuti con lui in Venezia da tutti noi, nessuno si attendeva questa ricerca. Mi riconfermai nel riflesso ragazzo-filosofico che aveva fatto.

In questa maniera egli estingueva interamente in ognuno le speranze concepite nelle visite fattegli ed accolte con tanta umanità prima che s’imbarcasse e prima che vestisse le insegne Generalizie.

Il Maggiore della Provincia Micheli ottima persona, e assai pingue, venne ad eseguire quel comando molto affaccendato e sudato in gran diligenza con un foglio ed un toccalapis.

Ognuno sombrava, borbottava e sbuffava a passare quella