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xiv prefazione.

tessa per giunta e fra gli Arcadi Irminda Partenide. Iacopo Antonio Gozzi, il padre, era stato colpito di paralisi; Gaspare, incurante di tutto, che non fosse i suoi studi, avea lasciato che la moglie pigliasse le redini di tutta la casa, e la poesia arcadica, applicata all’amministrazione d’un patrimonio in disordine, avea dato ben presto i frutti, che erano da aspettare. Le strettezze economiche inasprivano gli animi. Ai debiti s’aggiungevano continue baruffe in famiglia. Carlo dunque stabilì d’imitare l’esempio d’un altro suo fratello, e raccomandato dallo zio Tiepolo a Sua Eccellenza Querini, che andava Provveditore Generale in Dalmazia ed Albania, s’arruolò come Venturiere e salpò da Malamocco sulla galèra generalizia, che dovea portare a Zara, sede della Reggenza, il Querini, avendo per tutto viatico pochi cenci, i suoi libri ed il chitarrino, sul quale soleva improvvisare canzonette. Seguiamolo ora nella sua dimora triennale in Dalmazia (1741-1744), la relazione della quale il Löhner giudica «un capolavoro di studio, che tuttora conserva il suo valore politico ed etnografico.1» Poco descrive i luoghi, perchè, sebbene quella selvaggia natura avesse pur dovuto impressionare di qualche guisa il giovine Veneziano, il paesaggio vero non avea ancora riacquistata alcuna importanza letteraria nè nella poesia, nè nella prosa di quel tempo.

  1. Archivio Veneto cit. Tom. 24, pag. 208.