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delle tre melarance 25


Ebbi occasione di conoscere, all’apritura di questa scena con degli oggetti affatto ridicoli, la gran forza, che ha il mirabile sull’umanità.

Un portone fatto a cancello di ferro nel fondo, un cane affamato, che ululava, e passeggiava, un pozzo con un viluppo di corda appresso, una fornaia, che spazzava il forno con due lunghissime poppe, tenevano tutto il Teatro in un silenzio, e in un’attenzione nulla minor di quella, ch’ebbero le migliori scene dell’Opere de’ nostri due Poeti.

Vedevansi fuor del cancello il Principe Tartaglia, e Truffaldino affaticarsi a ungere il catenaccio del cancello medesimo colla sugna magica, e vedevasi il cancello spalancarsi. Gran maraviglia! Entravano. Il cane, latrando, gli assaliva. Gli gettavano il pane; si chetava. Gran portento! Mentre Truffaldino, pieno di spaventi, stendeva le corde al sole, e donava le spazzole alla Fornaia, il Principe entrava nel castello, indi usciva allegro con tre grandissime Melarance rapite.

I gravi accidenti non terminavano così. Si oscurava il sole, si sentiva il tremuoto, s’udivano gran tuoni. Il Principe consegnava le Melarance a Truffaldino, che tremava forte; s’apparecchiavano alla fuga. Usciva dal castello una voce orrenda; che puntualissima col testo della Favola fanciullesca gridava per questo modo ed era della stessa Creonta:

O Fornaia, Fornaia, non patire il mio scorno.
Piglia color pe’ piedi, e gettali nel forno.