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14 | l’amore |
talone, le Guardie, indi Leandro. Gli spettacoli, e le feste non erano, che quei medesimi, che si narrano a’ ragazzi raccontando loro la fola delle tre melarance. Entrava il popolo. Si faceva una giostra a cavallo; caposquadra Truffaldino, che ordinava de’ faceti movimenti a’ Cavalieri giostranti. Ad ogni movimento si volgeva al verone, chiedendo alla Maestà sua, se il Principe rideva. Il Principe piangeva, lagnandosi che l’aria lo molestava, che il romore gl’intronava la testa: pregava la Maestà paterna a farlo porre a letto ben caldo.
A due fontane, l’una, che zampillava olio, l’altra vino, concorreva il popolo a provedersi: si facevano de’ contrasti trivialissimi, e plebei. Nulla faceva ridere il Principe.
Usciva Morgana da vecchierella con un vaso per provvedersi dell’olio alla fontana. Truffaldino faceva vari insulti a quella vecchiarella; ella cadeva a gambe alzate. Tutte queste trivialità, che rappresentavano la favola triviale, divertivano l’Uditorio colla loro novità, quanto le Massere, i Campielli, le Baruffe Chiozzotte, e tutte l’opere triviali del Sig. Goldoni.
Allo scorcio del cadere della vecchiarella il Principe dava in un scoppio di risa sonore, e lunghe. Guariva da tutti i suoi mali ad un tratto. Truffaldino vinceva il premio, e al ridere di quel faceto Principe l’Uditorio sollevato dall’oppressione, cagionata in lui dalle infermità di quell’infelice, rideva sgangheratamente.