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clxxvi prefazione.

del Capocomico Sacchi e dare il dramma. Fatto è che, assistendo ad una nuova lettura, che, secondo l’usanza, se ne faceva ai comici radunati, la Ricci cominciò a dar segni di meraviglia e di sdegno, come se le si rivelasse tutt’ad un tratto qualche gran novità, e la novità era una palese allusione a’ suoi dissapori col Gozzi e il tipo di un Don Adone, tutto massime filosofiche e motti e smancerie e caricature di moda, in cui le parve rappresentato il Gratarol. Da questa prima favilla nacque l’incendio. La Ricci avvertì il Gratarol, il quale colla balordaggine d’un cervello fumoso, cieco d’ira e senza verificar nulla di nulla, ricorse ai magistrati, e il dramma, che già era stato licenziato per la scena, fu ridomandato, contro ogni consuetudine, per una seconda revisione. Il capocomico Sacchi, avidissimo e certamente con malignità (poichè era anch’esso innamorato della Ricci) rispose ai magistrati che non poteva darlo, perchè avea prestato il manoscritto alla Procuratessa Caterina Dolfin Tron, moglie a quell’Andrea Tron, tanto potente allora in Venezia, che lo chiamavano per antonomasia il Padrone. Or ecco come l’intreccio del curioso romanzo s’avviluppò. Anche questa Dama (non si sa bene se per maltalento o per gelosia) odiava il Gratarol. Da un lato adunque la Ricci, che volea vendicarsi del Gozzi, e la gran Dama, che volea vendicarsi del Gratarol. Dall’altro il Capocomico, che, innamorato deluso, contava almeno ricattarsi della scon-