poneva di sostenere ancora le Maschere, mescolandole bizzarramente all’intreccio romanzesco e sentimentale dei drammi di cappa e spada, e si proponeva altresì di opporsi alla moda francese dei drammi lagrimosi o tragedie borghesi, che già era penetrata in Italia, (se pure, come io credo, non vi fu dal Goldoni precorsa) ed era già divenuta il bersaglio principale delle nuove polemiche letterarie del Gozzi.1 Altri affetti s’aggiungevano però a questi vecchi ardori di battaglia, e la Ricci fu veramente l’inspiratrice di molti dei lavori teatrali di quella, che può chiamarsi la seconda maniera del Gozzi. Dopo cinque anni circa d’assiduità, d’assistenza e d’una protezione cosiffatta, sperava esso d’avere acquistati titoli imperituri alla gratitudine, all’amore, dirò meglio, di questa donna, e lo dico appunto perchè egli spende un intero volume a provare che non si trattava d’amore. Povero Gozzi! Questa volta il folletto infernale era capitato davvero a tribolarlo ed egli avea fatto i calcoli senza mettere in conto i cinquant’anni suonati, che già pesavano sulle sue spalle, l’indole vana, leggera e corrotta, e il temperamento isterico della Ricci, della quale è cu-
- ↑ Fra i lavori fatti per la Ricci, v’è una traduzione del Fajel del D’Arnaud, dramma lagrimoso. Di questa contraddizione il Gozzi si giustifica in una lunghissima prefazione. Vedi: Il Fajel — tragedia del Sig. D’Arnaud, tradotta in versi sciolti dal Co. Carlo Gozzi. (In Venezia 1772, per il Colombani).