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clxx prefazione.


Tornando dal Friuli in una freddissima sera di novembre, s’incamminava verso casa sua e vide per la contrada un gran via vai di gente, poi (oh meraviglia!) le finestre della sua casa spalancate e piene di lumi....


«Aperto l’uscio (continua il Gozzi) mi si affacciarono due militi urbani, i quali presentandomi due spuntoni al petto gridarono con viso fiero: per di qui non si passa.

Come! (diss’io ancor più sbalordito e mansuetamente) perchè non poss’io passare?

Non Signore (risposero quei terribili) per quest’uscio non s’entra. Ella vada a porsi in maschera ed entri per quel portone che vede qui a mano diritta ch’è del palagio Bragadino. Mascherato, la lascieranno per di là entrare alle feste.

Ma se fossi il padrone di questa casa e giunto stanco da un viaggio, agghiacciato, e assonnato, non potrei entrare nella mia casa per pormi nel mio letto? (diss’io con tutta flemma).

Ah il padrone! (risposero que’ feroci). Ella si fermi ed avrà qualche risposta. Detto ciò mi chiusero impetuosamente la porta in faccia.... S’aprì finalmente di nuovo l’uscio, e mi si presentò un Mastro di casa tutto trinato d’oro, il quale con molti inchini, mi fece l’invito d’entrare. V’entrai e salendo la scala chiesi a quella riverente persona, che fosse l’incantesimo che io vedeva nel mio albergo. E lei non sa nulla? (rispose quell’uomo). Il mio padrone Patrizio Gasparo Bragadino, prevedendo che il di lui fratello sarebbe eletto Patriarca, trovandosi ristretto di fabbricato per fare le consuete feste pubbliche, desiderò di unire con un ponticello di passaggio dalle finestre questa casa alla sua per aver maggior agio. Tanto fu eseguito con la di lei permissione. Qui si fanno parte delle feste e si getta dalle finestre al popolo pane e danari. Lei non abbia però alcun dubbio che la stanza dove ella dorme non sia stata preservata e chiusa con diligenza. Venga meco, venga meco, e vedrà.