tato del Gozzi in questi ultimi tempi, nei quali, col rinnovarsi degli studi critici di storia letteraria, anche Carlo Gozzi è uscito dalla penombra oscura dell’obblio, ov’era rimasto tanti anni, non sembra opportuno discorrere qui partitamente. Basti accennare che appunto da questo ritorno dell’attenzione degli studiosi su Carlo Gozzi, dai nuovi e recenti saggi su questo poeta, i quali hanno messo in chiaro quant’era l’importanza storica e letteraria di lui, nacque il pensiero, che fosse bene ripubblicare le sue Fiabe, e la speranza, che il pubblico italiano dovesse fare buon viso a questa ristampa. Mi sembra debito però un’eccezione pel Magrini, il cui libro non è senza mende, ma è pur sempre il più ampio studio, che finora si sia fatto su Carlo Gozzi; e, non potendo riassumere le molte, forse troppe, cose che dice, ne citerò le conclusioni, con le quali io pure in molta parte mi accordo. «Le Fiabe di questo ingegnoso umorista del XVIII secolo, scrive il Magrini, sono commedie allegoriche, favolose, strane, in cui spesso più che le passioni giuocano la volontà possente ed il genio benefico o malefico di esseri soprannaturali, che ricordano il Deus ex machina ed il fato degli antichi; sono racconti drammatizzati di fate, incantesimi e trasformazioni, in cui il genere comico va unito in bel modo all’eroico, la prosa al verso; e si trovano in esse satire pungenti, attici epigrammi e parodie efficaci, dacchè il fantastico è commisto al reale