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prefazione. cxliii

menti, di illustrazioni e di amplificazioni fantastiche e bizzarre. Paolo De Musset, fra molte osservazioni ingegnose e fine, è uno di quelli che più vi lavorano intorno di fantasia. Ha un’idea fissa, che nel Gozzi sia del Molière e dell’Aristofane, fusi insieme. A sentire il De Musset, Carlo Gozzi non avrebbe dimandato di meglio che metter alla gogna sul palco scenico del San Samuele i Dogi, i Dieci, gli Inquisitori, tutti quei mercantacci superbi del Libro d’Oro; non lo trattenne che la paura d’essere strangolato a sessanta piedi sotto terra o dato in pascolo alle zanzare dei Piombi del Palazzo Ducale. Il che prova che il De Musset s’è formata un’idea molto inesatta del Gozzi, il quale era uomo invece, che avrebbe veduto strangolare volentieri e dare in pascolo alle zanzare dei Piombi chiunque avesse messa in forse la infallibilità politica dei Dogi, dei Dieci, degli Inquisitori e dei Patrizi del Libro d’Oro, e ciò non per mal’animo, ma perchè il Gozzi adorava la sua vecchia Repubblica, come i secoli l’aveano fatta, ed avea in orrore tutti i novatori politici e filosofici d’ogni tinta. Il De Musset riscontra poi affinità moltissime fra i personaggi dei Racconti Fantastici dell’Hoffmann e quelli delle Fiabe, delle poesie, dei drammi e delle Memorie del Gozzi; poi fa del Gozzi stesso un Hoffmann Veneziano, che, a furia di far la parte della Provvidenza e del fato con le creature della sua fantasia, s’immerge fino alla gola nel mondo dei sogni, ed ogni