patetico della Fiaba. A ciò non ha badato lo Schiller, che per colmo d’errore ha ridotto le Maschere a figure scolorite ed insulse. Ed in altre Fiabe del Gozzi, nelle Tre Melarance, nel Corvo, nel Re Cervo che grandezza, che profondità, che vita! Non è ben chiaro però se fra tutti questi entusiasmi lo strano umore dell’Hoffmann non nasconda anche qualche intenzione beffarda, poichè nel suo Dialogo il più acceso partigiano del Gozzi è direttore d’un teatro di marionette.1 Di tale duplicità non può essere sospettato Francesco Horn, il Romantico cristianeggiatore dello Shakespeare, così crudelmente sbertato da Arrigo Heine nell’Atta Troll. Figurò nelle conversazioni dei Tè Estetici di Berlino ai tempi della restaurazione e scrisse in forma di lettere un libretto su Carlo Gozzi. Comincia dall’esaminare le Tre Melarance. In questa fiaba, secondo l’Horn, la satira del Gozzi è obbiettiva, mira più in alto che al Goldoni, avversario non degno di lui, ed anche tolta la satira al Goldoni, le Tre Melarance rimarrebbero pur sempre una grande creazione poetica. Guai a chi tocca (e valga l’esempio dello Schiller) a quel quid medium del Gozzi tra il fantastico e il comico, a cui nulla mancherebbe, s’egli sapesse trattare con ugual forza il patetico. Nelle Melarance il genio
- ↑ Seltsame Leiden eines Theater-Directors. Aus mündlicher Tradition mitgetheilt vom Verfasser der Fantasiestücke in Callots Manier. (Berlin 1819 in der Maurerschen Buchhandlung).