ella è sconcia da certe sue magre buffonerie alla Burchiellesca e da certi suoi ululati, com’e’ li chiama, e da cert’altre sue pessime prosacce, che sarebbe propio un acquistare l’indulgenza plenaria chi nel bastonasse ben bene. Un mucchio d’oro e di sterco a quel modo non s’è visto più mai. Ma passiamo da questo scioccone ingegnoso ad un altro scioccone che non merita questo epiteto. Voglio dire il Conte Verri....1» Critica soggettiva, se mai ve ne fu, e che dimandava al Gozzi per prima cosa d’aver fatto tutt’altro, da quello che volle fare, per entrarle in grazia. La quale pretensione, veramente superlativa, scema il valore anche dei biasimi giusti, che gli infligge. Comunque, tutto il discorso del Baretti significa ch’egli abbandonava il pensiero di una traduzione inglese delle Fiabe, lavori teatrali, secondo lui, d’un’indole troppo locale da potere piacere fuori di Venezia. Non così la pensavano i Tedeschi, che tra il 1777 e 1779 aveano già pubblicate a Berna le Fiabe tradotte nella loro lingua.2 La traduzione uscì anonima ed il Gozzi, pur compiacendosi moltissimo dell’inaspettato onore, non nomina mai il traduttore, che era Francesco Augusto Clemente Werthes, sebbene narri d’averlo conosciuto di persona a Venezia.3 Curioso è che il Gozzi non in-
- ↑ Baretti, Ediz. cit. Tom. cit. Lett. 142 del 12 Marzo 1785.
- ↑ Teatralische Werke von Carlo Gozzi. Aus dem italiänischen übersetz. Theil 1-5 (Bern 1777-1779).
- ↑ Opere, Ediz 1802. Tom. XIV. La più lunga Lettera etc. cit. Frammento Quinto e Comento etc. pag. 162.