ma anche antichi personaggi d’altre Fiabe Gozziane tornano petrificati, come il Cigolotti del Re Cervo cambiato in statua parlante, ed i prodigi, le trasformazioni fanciullesche delle Tre Melarance si moltiplicano all’infinito. È veramente, ripeto, un vasto epilogo fiabesco, è il delirium tremens della magia, dove tutto ripiglia anima e vita, sino i pomi, che cantano, sin l’acqua, che suona e balla, sino le statue delle antiche fontane, che scendono dalle loro nicchie diroccate e muscose e, a guisa della statua espiatoria del Commendatore nel Don Giovanni, camminano con passo marmoreo fra i mortali. Ma in mezzo a questo pandemonio fiabesco la parodia e la satira primeggiano e forse con più intima connessione all’argomento, che non sia nelle Tre Melarance. Delle dottrine, che satireggia, il Gozzi ha un concetto molto inesatto e confuso. Sferza però in generale l’insurrezione della ragione contro la fede e ricongiunge tale insurrezione al Machiavellismo personificato nel salsicciaio Truffaldino, a cui la causa dei vinti inspira il più alto disprezzo ed è divenuto razionalista, incartando il salame coi libri dei filosofi.1 Manomessa l’antica fede, gli uomini, secondo
- ↑ In una lettera scritta dalla campagna l’8 Ottobre 1763 Carlo Gozzi, parlando della Frusta Letteraria del Baretti, che usciva allora, scrive: «Io me la passo dormendo, mangiando, cavalcando qualche puledro, camminando, e gridando con questi villani, i quali sono tutti finissimi machiavellisti. Sanno frodare, ridersi del parroco con una sorprendente di-