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cxiv prefazione.

ma anche antichi personaggi d’altre Fiabe Gozziane tornano petrificati, come il Cigolotti del Re Cervo cambiato in statua parlante, ed i prodigi, le trasformazioni fanciullesche delle Tre Melarance si moltiplicano all’infinito. È veramente, ripeto, un vasto epilogo fiabesco, è il delirium tremens della magia, dove tutto ripiglia anima e vita, sino i pomi, che cantano, sin l’acqua, che suona e balla, sino le statue delle antiche fontane, che scendono dalle loro nicchie diroccate e muscose e, a guisa della statua espiatoria del Commendatore nel Don Giovanni, camminano con passo marmoreo fra i mortali. Ma in mezzo a questo pandemonio fiabesco la parodia e la satira primeggiano e forse con più intima connessione all’argomento, che non sia nelle Tre Melarance. Delle dottrine, che satireggia, il Gozzi ha un concetto molto inesatto e confuso. Sferza però in generale l’insurrezione della ragione contro la fede e ricongiunge tale insurrezione al Machiavellismo personificato nel salsicciaio Truffaldino, a cui la causa dei vinti inspira il più alto disprezzo ed è divenuto razionalista, incartando il salame coi libri dei filosofi.1 Manomessa l’antica fede, gli uomini, secondo

  1. In una lettera scritta dalla campagna l’8 Ottobre 1763 Carlo Gozzi, parlando della Frusta Letteraria del Baretti, che usciva allora, scrive: «Io me la passo dormendo, mangiando, cavalcando qualche puledro, camminando, e gridando con questi villani, i quali sono tutti finissimi machiavellisti. Sanno frodare, ridersi del parroco con una sorprendente di-