particolari lo stato morale d’una città, guasta dalle dottrine e dai costumi alla moda.1 Manifestamente allude a Venezia, dove le massime filosofiche francesi, per mezzo dei libri, dei viaggiatori, delle associazioni Massoniche, già penetravano. Non al governo di certo, che durava immobile, quantunque esso pure fin dal 1761 avesse dovuto reprimere in Angiolo Querini e ne’ compagni suoi un’agitazione politica, che s’inspirava alle nuove idee, dappoichè il Querini, riformista e ammiratore dal Voltaire, somigliava assai più ai Mirabeau ed ai Lafayette, che non ai patrizi Veneti d’antica stampa.2 Ma il più fiero assalto del Gozzi alle esotiche dottrine venute di moda fu nella Fiaba dell’Augellino Belverde. «È un’azione scenica, egli scrive, la più audace che sia uscita dal mio calamaio. Io m’era determinato a tentar con uno sforzo di fantasia uno strepito grande teatrale popolare e a troncare il corso delle rappresentazioni sceniche, delle quali non voleva utilità nessuna, ma nè meno quel peso disturbatore, che incominciavano a darmi; massime sembrandomi già di aver abbastanza ottenuto quell’intento, che m’era proposto per un purissimo, capriccioso, poetico puntiglio.... Sotto un titolo fanciullesco, e in mezzo ad un caricatissimo ridicolo, non credo che
- ↑ Nel Vol. II cit, Zeim Re de’ Genj, Atto I, Scena I, pag. 423.
- ↑ Morpurgo. Marco Foscarini cit. — Romanin. Storia Document. di Venezia. Tom. cit.