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prefazione. cxi

sione più assoluta, e nella tranquilla credenza, che da Dio viene ogni potestà dei Grandi e che anche gli eccessi della costoro prepotenza Dio li permette per alcun bene nascosto nell’abisso del suo consiglio, come pure la probità e la costanza di un vecchio ministro ricevono all’ultimo dal Re de’ Genj il dovuto compenso. Quest’è la moralità, che si svolge a traverso i portenti magici e che è racchiusa negli ammaestramenti di Zeim alla schiava:

Ei sempre mi dicea......
Che sacra, non intesa Provvidenza
Tutto dispone e che mirabil opra
Era de’ grandi il posto e grado a grado
Veder le genti, insino alla minuta
Plebe, operar subordinate a’ primi
Era cosa celeste. Ah non t’allettino,
Spesso dicea, sofistici talenti,
Che maliziosamente libertade
Dipingono a’ mortali, fuor da questo
Bell’ordine, dal ciel posto fra noi.1

La generale intenzione satirica della fiaba si deduce da questo tema ed un saggio curioso è in una scena dell’Atto I, in cui Sarchè, figlia di Pantalone (e terza incarnazione dell’Angela del Re Cervo e dei Pitocchi Fortunati) tenuta dal padre nascosta in una campagna, chiede a lui che cosa sia una città ed egli le descrive co’ più minuti

  1. Vedi nel Vol. 2. Zeim Re de’ Genj, Atto II, Scena IV, pag. 458.