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prefazione. cvii

se si trattasse d’un sogno e che «se il buon gusto vegliasse sempre alla porta eburnea dei sogni, per costringerli a forme prestabilite, ben di rado essi colpirebbero la nostra immaginazione.1» Ma è più vero ancora ciò che poco innanzi avea detto la stessa Signora di Staël (parlando delle streghe del Faust): «I limiti sono difese. La vaghezza delle invenzioni soltanto può salvare il fantastico, nel quale l’unione del bizzarro e del mediocre non potrebb’essere tollerata.2» Peccato, che non sempre il Gozzi potè sfuggire e che appunto al momento di far rappresentare il Mostro Turchino pare che avesse già messo il pubblico in qualche diffidenza e sfiduciato un poco il poeta dell’opera sua. Nella Prefazione si mostra assalito quasi dal dubbio d’essere andato tropp’oltre e malcontento di dover continuare, costretto dallo zelo dei partigiani e dalle esigenze dei Comici. Le critiche cominciavano ad assalirlo. «Bilanciai molto, scrive il Gozzi, per la soggezione in cui m’avevano posto i colti ed acuti miei giudici.... e confesserò che il rispetto e il timore, che io ho del pubblico, mi fece costar questa fiaba una fatica non conveniente al suo ridicolo titolo di Mostro Turchino.3» La gestazione fu lunga, faticosa, piena d’incertezze (perciò forse questa fiaba fu comunicata al Ba-

  1. M.e De Staël. De l’Allemagne. (Bruxelles, 1832). Tom. 2, Chap. XXIII, pag. 424.
  2. Ibid., pag. 388.
  3. Prefazione al Mostro Turchino.