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cvi | prefazione. |
non voluti lasciar correre in Teatro dai prudenti Revisori Veneti, furono sostituiti quelli di Apollino e di Tempio;1» prudenza, che non giovò purtroppo, dopo Passarowitz, a rinfrancare in Oriente la potenza dei Veneziani!
La Fiaba, con cui il Gozzi soccorse la non grande fortuna dei Pitocchi Fortunati, fu il Mostro Turchino, rappresentata l’8 Dicembre 1764. La moralità di questa fiaba è l’amor coniugale, poetizzato in Taer e Dardanè, e messo a terribili prove da Zelou, Mostro Turchino. «La passione fantastica, ch’ella racchiude, scrive il Gozzi, fu guardata come una verità incontrastabile;2» ma quest’affermazione mi sa veramente di troppo ardita. Il Gozzi nel mescolare la realtà dei fatti e delle passioni umane ai portenti magici e ai miti fiabeschi non raggiunge quella perfetta fusione del fantastico e del reale, a cui seppe toccare, per esempio, lo Shakespeare. Il dubbio di Alonzo nella Tempesta dello Shakespeare: «non potrei giurare se ciò non sia una realtà3» non mi sembra possibile nelle Fiabe del Gozzi. Eppure è a questo patto che il fantastico sul teatro può evitare il pericolo, a cui più della realtà si trova esposto, di divenire monotono, triviale e sazievole. È verissimo quanto dice in proposito la Signora di Staël che il genere fantastico va giudicato come