cognito per conoscere i bisogni del suo popolo e le arti malvagie de’ suoi Ministri. V’è la solita figura dell’Angela, la virtuosa figlia di Pantalone e amante del Re, e il solito fondo di riti ed usanze e barbarie orientali, che ai Veneziani, già conquistatori dell’Oriente ed ora perdenti ad una ad una le loro conquiste, piaceva oltre modo, forse come un ricordo di domestiche glorie. Però il tema della fiaba, quel Re in incognito e sotto mentite spoglie, rispecchia aneddoti contemporanei, che ancora si raccontano, di Pietro il Grande di Russia, di Federico II, di Giuseppe II e di Leopoldo di Toscana.1 Non pare che questa fiaba riescisse sulla scena così bene, come le altre. Forse l’argomento non destò grande interesse. Fatto sta che, a quanto narra il Gozzi, fu rappresentata sei sere nell’Autunno, poi sospesa, e rimessa in scena per due sole sere nel Carnovale, intramezzandovi un altra fiaba, non più spoglia di mirabile magico. Una semi-confessione del poco buon successo dei Pitocchi Fortunati si ha dal Gozzi stesso, il quale dice ch’essa «non era in tutto popolare» e di ciò si consola colle lodi in versi tributategli da una parrucca accademica, il Conte Durante Duranti di Brescia.2 Un’ultima notizia intorno ai Pitocchi Fortunati, che merita ricordo, è quella che «ai nomi di Profeta Macone e di Moschea,
- ↑ Magrini. Op. cit., pag. 218.
- ↑ Prefazione ai Pitocchi Fortunati.