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civ | prefazione. |
ad altri, che accennerò più tardi, farebbe ritenere che fra i due passasse maggiore intimità di quella confessata dal Gozzi e spiegherebbe il silenzio della Frusta, vissuta e morta appunto durante la rappresentazione delle Fiabe. Nella Zobeìde è lotta tragica veramente tra il principio del bene e quello del male, tra le arti magiche e l’innocenza e la religione. Vigorosamente disegnato è il carattere di Re Sinadab, in cui è raffigurato l’ipocrita. È un Negromante, che ha sempre in bocca Dio e la virtù. Però la magia ed il prodigio turbano ogni tentativo di svolgimento di caratteri, e così pure impediscono alla lunga il terrore e la pietà tragica. Il Gozzi ha voluto fare della Zobeide una tragedia fantastica. Ma benchè nei fenomeni d’un atavismo criminoso, che scende per due progenie principesche, siavi in realtà imitazione e reminiscenza di tragedia classica, nondimeno anche il Sismondi, gran lodatore del Gozzi, osserva che l’abuso della fantasmagoria esclude la sensibilità e che la Zobeide, per quanto tragica, non farà mai piangere nessuno.1
Al genere della Turandot, che il Gozzi definisce «genere fiabesco, spoglio di mirabile magico,2» appartiene la settima Fiaba: I Pitocchi Fortunati, rappresentata il 29 Novembre 1764. Trattasi d’un Re, che si finge pitocco e gira in-