Alla Turandot seguì il 29 Ottobre 1762 la Donna Serpente più spettacolosa e più intricata, se possibile, del Re Cervo. In quel laberinto di malie, d’incanti, di condanne e combinazioni misteriose di cronologie cabalistiche, sembra quasi che il Gozzi stesso si smarrisca. Poeticissimo è il tipo di Cherestanì, maga innamorata, che lotta tra un amor vero e la ineluttabile fatalità delle leggi negromantiche, alle quali, come maga, è sottoposta. Fra tanti incantesimi Pantalone parla il linguaggio d’un buon senso impersuaso e pieno perciò di forza comica. Ma il quadro s’allarga in modo che il Gozzi, non potendolo far stare dentro la cornice del dramma, si trae d’impaccio, introducendo fra una scena e l’altra un venditore di relazioni pubbliche, come sarebbe uno strillone dei nostri giornali, il quale riferisce in compendio il contenuto della sua merce e così informa il pubblico di ciò che è accaduto e non fu potuto rappresentare sulla scena. Ha ragione il Gozzi di lagnarsi, che certi critici troppo austeri biasimassero cotesta sua invenzione, la quale fa riscontro a quella del Cigolotti nel Re Cervo, e tutte e due, con molte altre di simile genere, che trovansi nelle Fiabe, sono un vero ringiovinimento delle forme libere e popolanesche della Commedia dell’Arte. «Il Sacchi Truffaldino, scrive il Gozzi, uscendo con un tabarro corto e lacero, un capello tignoso e un gran mazzo di relazioni a stampa, gridava, ad imitazione di que’ birbanti, accennando in compendio