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prefazione. xcix

pantalonesca, che ama l’uomo nel Re, una delle poche delicate figure di donna, che il Gozzi abbia disegnate. I prodigi, le trasformazioni del Re Cervo sono tante e cosiffatte, che non s’intende alla lettura, come siansi potute eseguire con sufficiente illusione scenica. Il Re si cambia in Cervo, poi il suo spirito entra nel corpo d’un altr’uomo, tanto vecchio e deforme, quant’egli era giovine e leggiadro e, ciò non ostante, l’amore di Angela lo indovina e lo scopre sotto alle mutate sembianze. È questo un forte abbozzo drammatico, guastato alquanto dal Gozzi, che lo ricaccia ben tosto nel circolo magico della fiaba. Tutto il resto è più spettacoloso, che fantastico e, per dar pure un senso a tutte quelle metamorfosi, si volle vedere un apologo politico in quel Re mutato in bestia da un ministro infido e perverso; ma è una di quelle intenzioni, che il Gozzi non confessò.1

Era accusato, come dissi, di fondarsi tutto sui prestigi delle macchine e delle fantasmagorie. A tale accusa volle rispondere colla Turandot. È una principessa Chinese, che costretta a scegliersi uno sposo, non consente a dar la sua mano, se non a chi saprà risolvere tre enigmi da lei proposti, pena la vita a chi, presentatosi, non li risolve. Già molti hanno lasciata la testa a questa prova, allorchè il dramma incomincia. La scena è a Pekino e la fiaba si svolge a traverso un caos

  1. Memorie cit. Parte II, Cap. 1, pag. 6.