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canto quarto 79

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     Del secol nostro io non dovrei dir male,
perché so ben che si crede e si tiene
per maldicenza sino alla morale,
e non è piú moderna e non conviene.
Il paladin, che aveva messe l’ale
all’improvviso, ascoltator dabbene,
nella bottega, come si dicea,
direm ch’egli era Angelin di Bordea,
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     custode in corte del regio sigillo.
Una carica grande e di gran frutto:
ventimila ducati, posso dillo,
ella rendeva con gl’incerti e tutto.
Alla sua morte ci fu il coccodrillo,
che non tenne sull’ossa il ciglio asciutto,
perché l’incarco assai gli era invidiato
da chi tenea su quel l’occhio tirato.
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     Era Angelin d’una statura grande,
e grosso e molto greve nella pancia,
magno conoscitor delle vivande,
che le gustava sudando la guancia,
e in tavola voleva altro che ghiande;
anzi dicea tutta quanta la Francia,
parlando di chi fa mensa piú buona:
— Angelin di Bordea porta corona. —
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     I liquori, la pippa e i buon bocconi
erano i principali suoi riflessi,
né si curava di vestiti buoni,
che gli avea fuor di moda ed unti e fessi.
Le sue camicie parevan carboni,
che le cambiava, come i votacessi,
tre volte l’anno, e il di che si cambiava
molto quella fatica biasimava.