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canto duodecimo ed ultimo 303

87
     Lasciam per poco la bizzarra in pena
d’esser come un cadavere abborrita.
Giunto è Dodone, Orlando, ognuno è in scena;
seg^o che la commedia è omai finita.
Rinvigorisca alquanto la mia vena
a riassumer netta ogni partita,
onde alcun non apponga al buon Turpino
né a me di negligenza un bruscolino.
83
     Padre del ciel, la mia barchetta triema,
piú che nell’alto mare, al vicin porto.
Carlo è giá vecchio e presso all’ora estrema,
e deggio dir, pria che sia in tutto morto,
a che ridotto fosse e in qual sistema
lo Stato nell’inerzia e l’ozio assorto,
e del popolo il vero e del monarca:
Dio mio, ti raccomando la mia barca.
89
     L’anno ottocentoventi a mano a mano
correva dell’arcana incarnazione
del divin Verbo, nostro pellicano,
al qual son tanto ingrate le persone.
Si leggea nel lunario da Bassano
sull’anno in generale un gran sermone,
minacciante vendetta e storpio e guerra:
nessun gli dava retta per la terra.
90
     Credeva Carlo rimbambito e grasso
d’esser imperator d’un vasto impero,
per aver una veste da Caifasso,
la corona gemmata oltre al pensiero,
e per veder, allor che andava a spasso,
chinar le genti per ogni sentiero,
e per sentir, se dal palagio uscia,
timpani, comi, trombe e sinfonia.