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302 la marfisa bizzarra

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     Vero è ch’ella rimase estenuata
con una lunga febbre lenta lenta,
e certa tossa asciutta ed ostinata,
sicché del stato suo non è contenta.
Lieva dal letto, l’aere ha cambiata:
di risvegliar la bizzarria ritenta;
gli uomini ancor non le increscevan molto;
s’aiuta col belletto e i nei sul volto.
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     Immagina, lettor, questa signora,
giá per etá presso ai quaranta giunta,
con un fil di febbretta che lavora,
con la tossa, residuo d’una punta,
con la passata vita che la onora,
pallida, pelle ed ossa, arsa e consunta,
che con nei, con belletto e bizzarria
cerca d’aver amanti tuttavia.
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     Esplicabil non son le sue fatiche
e la dottrina ch’usa nello specchio,
il gran lavoro intorno a due vesciche,
per far che sien pur enti in apparecchio;
del spruzzarsi di odor, delle rubriche,
de’ fiori al seno e a’ fianchi del capecchio,
delle scamoffie e del sbilerciar gli occhi:
ma a’ suoi boccon non s’attaccan ranocchi.
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     Saltato avrebbe ogni fossa, ogni sbarra
per appiccare il filo con Terigi,
quantunque ei fosse, come Turpin narra,
fallito, al verde e l’odio di Parigi.
Prima nel fòro ha perduta la sciarra
co’ suoi parenti da’ gabbani grigi,
poscia è diserto dal suo cappellano
e da’ contrabbandier di Montalbano.