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296 la marfisa bizzarra

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     Il non aver al fatto testimoni,
il colorir col pianto un gran dolore,
il far di mali scorsi narrazioni,
di predizion d’alcun bravo dottore,
ed un torrente d’acute invenzioni
non giovano al guascon buon dicitore,
che sostien solo superfizialmente
quel «Non v’è mal, se occulto è fra la gente».
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     Un frate vi direbbe che il peccato
accieca l’empio per voler di Dio.
A questa opinione, umiliato
e pieno di credenza, assento anch’io;
ma posso dir senz’esser condannato,
fuor dal mirabil anche, il parer mio:
l’empio, sciente d’esser in periglio,
ha dipinto l’interno sopra al ciglio.
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     Nelle dimostrazion giusta misura
prender non può, sicch’egli affetta alfine,
perch’altera il cervello la paura,
e passa il vero naturai confine.
L’iniquo Filinor tutto proccura,
ma troppe son le smanie e le moine,
troppi i discorsi, le proteste, i pianti
per chi lo conosceva per lo avanti.
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     Aggiungi che la povera ammalata
aveva detto al medico all’orecchio:
— Temo d’esser, dottore, avvelenata;
il mio marito è un vii traditor vecchio. —
L’Ippocrate l’avea molto osservata
ne* sintomi e nel vano suo apparecchio,
e finalmente in se stesso è d’avviso
che un velen l’abbia spinta in paradiso.