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20 la marfisa bizzarra

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     Il duca Namo nella sua vecchiaia
avaro ed usuraio s’era fatto.
Ogni dí fitta teneva l’occhiaia
in su’ processi per fare un bel tratto;
perché investia di scudi le migliaia,
e alfin temeva qualche scaccomatto
o dalle doti o da’ fideicommissi;
onde avea gli occhi in sulle carte fissi.
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     Poi tanti dubbi e cavilli trovava
co’ poveretti che bisogno aviéno,
che sin per venti il cento comperava.
E usava un altro piace voi veleno,
che per il censo mai non molestava,
tanto che il foglio d’annate era pieno,
e poi tra il capitale e l’usufrutto,
«salvum me facche», e’ si toglieva tutto.
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     Prestava a’ giuocator spesso danari
a un per dieci il giorno di vantaggio;
e i figli di famiglia aveva cari,
che avesser vizi assai ma non coraggio,
perché voleva il pegno e scritti chiari;
poi gí’inseguiva col viso selvaggio,
e alfin si vago il conto avea tenuto,
ch’avean pagato e il pegno anche perduto.
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     Astolfo, dopo il costume novello,
era a Parigi inventor delle mode.
Or le calze riforma, ora il cappello,
ora le brache, e guadagna gran lode;
e tagli or lunghi or corti al giubbereílo,
i capelli or in borsa or con le code,
le fibbie or di metallo ed or di brilli,
ovate, tonde e quadre, e mille grilli.