Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu/297


canto duodecimo ed ultimo 287

23
     Tu sai del memorial ch’ho presentato:
ch’ei mi facesse almeno alfier si chiese;
ed egli alfier mi fece riformato
con que’ meschin cinque ducati il mese.
Giá conosci il mio ventre dilatato
e s’eran sufficienti per le spese:
ebbi tant’ira, caro paladino,
ch’io fui per farmi ancora Saracino.
24
     Molte donne cristiane parigine,
innamorate della mia grandezza,
m’avrien soccorso con un certo fine;
ma non vo’ dirti la lor sfrenatezza.
Oh quai costumi! oh che buone farine!
perché la chiesa vostra ancor battezza?
Irato, stomacato, sbalordito,
ospite insalutato son fuggito.
25
     Non volli abbandonar la nuova fede,
perché l’ho ancora in buona opinione.
Tu dicesti: — Esser cieco de’ chi crede,
de’ sperar, abbia o non abbia ragione. —
Sperando, sono andato sempre a piede;
servii, sperando, di guardaportone;
ma, perch’io mangio assai, mi dièro il bando:
partii cieco credendo e ognor sperando.
26
     Pelle ed ossa, una mummia era ridotto,
sembrava la figura d’un sudario.
Videmi un cavaliere, industre e dotto
de’ teatri e dell’opere impressario;
mi disse che, s’entrassi in un casotto
per lui, meco saria Cesare e Dario.
Risposi si, che vedeva la fame
e da tre di vivea di fieno e strame.