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276 la marfisa bizzarra

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     E perché giova in cosí fatta tresca
cambiar paesi e riuscir novelli,
questa coppia gentil piantò bertesca
e in diverse cittá vischio agli uccelli.
La dama, ch’era una lana sardesca,
al cavalier tenea stretti i borselli,
dond’ei che i vizi suoi vuol mantenere,
si fece ciurmador, di cavaliere.
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     Ma lo faceva con magnificenza
e suoni e canti e livree ben guarnite.
La moglie in casa non facea credenza,
ed egli in piazza spaccia elisirvite;
e tenendo nel dua la rubescenza,
di qua, di lá le genti ha sbalordite.
Da pochi giorni in Saragozza egli era,
e in brieve nel palchetto è quella sera.
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     Quando riebbe la bizzarra il fiato,
fece forza a se stessa: discorrendo
col sassolino fitto nel palato,
molte richieste al guascon va facendo.
Quel diavol, ch’era un golpon scozzonato,
alle dimande va soddisfacendo:
nelle risposte si fé’grande onore,
salvo che apparve un po’ millantatore.
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     Non so qual fosse degli angeli bigi,
che inducesse la dama a far richiesta
a quel cosmopolita se Parigi
vedesse, andando in quella parte o in questa,
che le pareva in chiesa a San Dionigi
veduto averlo a messa un di di festa;
e ch’anzi, poiché ogni uom alfin pur ama,
l’avea veduto a far scherzi a una dama.