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Marfisa, Ipalca e il postiglion che trotta,
aveano fatta giá la prima posta.
La dama al postiglion la testa ha rotta,
che a chiederle la corsa le s’accosta.
Cambia la posta, e grida, che par cotta,
che non vuol passo lento, non vuol sosta,
a ponte rotto, a buca, a sasso, a crollo
vuol che si corra e se ne vada il collo. 4
Scrive Turpin che non ci fu mai caso
che una corsa pagasse quella dama.
Di questa veritá son persuaso,
perch’ella non dipende dalla fama.
Turpino fu scrittor che avea buon naso,
e per prova del vero cita e chiama
de’ mastri postiglion le note certe,
dove son le partite ancor aperte. 5
A qualche postiglion data ha la mancia,
se fu robusto e buon bestemmiatore;
del resto il chieder prezzo era una ciancia,
che tirava percosse d’un gran core.
Ipalca, finta moglie, avea la guancia
talor di carta e di color peggiore,
e alle sciarre, a’ cimenti, alle contese,
vanta un suo voto che le avea difese. 6
Tra la rabbia, il furore e i patimenti
e l’amor pel guascone, che conserva,
senti Marfisa un di scuotersi i denti,
e volse il viso pallido alla serva,
dicendo: — Io sento ribrezzi e accidenti
e una debolezza che mi snerva:
mi duole il capo ed ho la bocca amara. —
Rispose Ipalca: — Questa è febbre chiara. —