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222 la marfisa bizzarra

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     Tu di’ che vuoi di fatti e non parole
siano i tuoi libri; in questo sarai solo.
Dunque un tuo libro battezzar si vuole
di fabbro una bottega o legnaiuolo.
Dch! canta autunni e tempi e luna e sole,
e crediti a tua posta un usignuolo;
dedica, imprimi, a tuo modo ti regola;
ma tu mi par stizzita una pettegola. —
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     Gl’impostori scrittor d’allora in caldo
appiccorno question co’ buon scrittori.
Sino a quel giorno avea detto ribaldo
Marco a Matteo che s’eran traditori:
ma come vidon non istar piú saldo
chi sa distinguer ben dal sterco i fiori,
furono amici allor Marco e Matteo,
e i partigian cantarono il Tedeo.
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     Scrivea Marco in que’ tempi la gazzetta:
il pubblico avverti dell’alleanza
con uno stil da corno e da trombetta,
come se il caso fosse d’importanza.
Dicea: «Io sono Augusto — a chi l’ha letta;
Matteo di Marc’Antonio ha simiglianza:
chi non ci loda è un vii Lepido indegno,
e proverá ben presto il nostro sdegno».
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     Se rideva Dodon, Dio ve lo dica,
di queste matte forme e braverie,
e va dicendo alla sua schiera amica:
— Quell’alleanza, care anime mie,
ci toglie occasione di fatica
a provar che i lor scritti son follie. —
Il popolo diviso in due fazioni
dava riputazioni a’ bighelloni.