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198 la marfisa bizzarra

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     Piacque il consiglio al buon Ruggero, e tosto
andossi all’arcivescovo Turpino.
E le preghiere e il desiderio esposto,
Turpin rispose: — Caro paladino,
io veggo a gran cimento tu m’hai posto:
conosco di Marfisa il cervellino,
e temo esporre a troppo grave rischio
le monachette con quel bavilischio. —
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     Era Turpino un vecchierel scarnato,
con naso grande, adunco e pavonazzo,
ciglia avea grosse e collo sperticato,
come un Scipio African d’un tristo arazzo.
Piccoli ha gli occhi, il mento in su voltato:
nel ragionar faceva un gran rombazzo,
che voce grossa aveva, ed i polmoni
robusti ancora a spinger paroloni.
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     Non avea grande acume, tuttavia
era un gran parlatore, era zelante.
Avea di scriver sempre fantasia,
ed ha gran fogli e calamai davante.
Con poca lingua e poca ortografia
scrivea la storia di Carlo regnante,
la qual fu poscia per tant’anni tema
a’ gran poeti, or è del mio poema.
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     Seguendo con Ruggero il suo discorso,
con voce grossa e da gran zelo acceso,
disse: — Rugger, tu mi chiedi un soccorso,
che infinite persone hanno preteso;
né so come il costume sia trascorso
ad una corruzion di tanto peso.
Omai fratel né padre di famiglia
alla suora comanda od alla figlia.