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170 la marfisa bizzarra

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     La dama lo scusò per quella volta;
il resto non lo volle piú sapere.
— La vostra villania resti sepolta:
siate per l’avvenir piú cavaliere. —
Cosi diceva, e Terigi l’ascolta,
e non sapeva parlar né tacere.
Marfisa pur lo guarda e ha replicato:
— Si, vi perdono; si, v’ho perdonato.
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     Anzi, perché un bel pegno tosto abbiate
dell’amor mio, della mia confidenza,
vo’ che tremila zecchin d’or mi diate,
che supplir degg^o a certa mia occorrenza.
A un tal segno d’amor vi rallegrate:
speditemeli tosto in diligenza;
ma in avvenir non fate mal egrazie,
perch’io non vi farò si belle grazie. —
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     A si gran colpo il marchese novello,
che nell’interno è gabelliere ancora,
sentissi gran rivolta nel cervello,
pulsare il cor che gli balzava fuora.
La soggezion, l’amore in un fardello
coir interesse, e il dubbio lo scolora,
che lo sborsar tremila zecchin d’oro
non gli sembrava picciolo lavoro.
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     Volea dir si, volea dir no, volea
promettere e mancar: va ruminando.
Gran pagamenti fatti ch’egli avea,
riscossion dure andava balbettando.
Sorridendo Marfisa soggiugnea:
— O vile, o pidocchioso, o miserando I
voi mi movete il vomito, da dama;
non dite piú, questo parlar v’infama.