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canto settimo 163

15
     Tanto che se Angelin saper volea
chi gli avesse il suo voto o tolto o dato,
per miglior segno solamente avea
a conoscer colui che l’ha burlato,
che quel s’affaticava e s’accendea
per farsi creder molto affaccendato.
La troppa affettazione ed il giurare
faceva del contrario dubitare.
16
     Oh quanti alle miserie del meschino
negato avean due scudi poco pria,
d’impuntuale il povero Angelino
accusando e di poc^ economia!
Venuti or sono a dirgli: — Io mi t’inchino:
sento un piacer che, per l’anima mia,
sono per impazzare: g^á tu sai,
quanto ben t’ho voluto sempremai. —
17
     Frattanto Gano col cervel mulina
come potesse risarcire il danno
delle cere consunte la mattina
e dell’util perduto in capo all’anno;
e tanto e tanto un suo pensier raffina
sopra un certo tranello, un certo inganno,
che finalmente gli piaceva molto,
e a visitar Marfisa si fu vòlto.
18
     Trovolla col zendale ancora in testa,
ch’era sopra una scranna in sfinimento.
Ipalca Tassa fetida le appresta
e le fa crocioni sotto il mento.
Col fumo della carta la molesta,
e con una raccolta le fa vento.
Mise un gran mugghio alfin la disperata,
traendo calci come spiritata.